Le riflessioni e le discussioni relative alla grave e complessa questione della buona morte, con le quali inizia la narrazione, si stemperano ben presto, quasi a dissolversi, nell’insorgere improvviso nella piccola comunità di Antillia (nome che ricorda, nell’utopia classica, la fantastica isola delle sette città, proiezione della mitica Atlantide, in pratica una di più delle innumerevoli isole e isolotti che costituiscono l’arcipelago dei Caraibi) della morte infame provocata da una micidiale epidemia di colera che si accanisce contro una popolazione già stremata da una devastante crisi economica e politica. Testimone privilegiato di questi drammatici avvenimenti è il dottor Ferdinand de Pessac, direttore dell’ospedale centrale di Sainte-Lucie, capitale dell’isola, il quale, ripercorrendo con la scrittura quei momenti sciagurati (una scrittura che, scaturendo direttamente dal ricordo, s’impone come flusso ininterrotto della parola, al pari d’un narratore che racconta una storia a voce senza interruzioni o senza addirittura una pausa), si sforza di dar vita ad una narrazione volta a coinvolgere il lettore nelle sue drammatiche esperienze che, pur avulse dalla realtà storica, proiettate anzi in un ambito volutamente surreale, rientrano nondimeno nella categoria del verosimile, fino al delirio finale del narratore solitario prigioniero nella foresta tropicale.

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